Luca Marinelli si conferma uno degli attori più versatili del cinema italiano. È protagonista di “Martin Eden” del campano Pietro Marcello, che concorre per il Leone d’Oro a Venezia 76 per poi arrivare nelle sale da domani. Emozione, ironia, avventura, in poco più di due ore che tengono incollato lo spettatore che entra in empatia col protagonista. Grande merito di una confezione pressoché perfetta, farcita di splendide immagini di repertorio che si fondono alla perfezione con il girato ed una colonna sonora sui generis che dona ritmo ai già interessanti dialoghi.
«Ho trovato una storia universale – racconta il regista e sceneggiatore – quella di un ragazzo che diventa uomo, si emancipa e si riscatta attraverso la cultura: è la storia di Jack London, di tanti di noi. Ho letto il libro 20 anni fa, donatomi da Maurizio Braucci, e dopo 20 anni ho deciso di sceneggiarlo: non abbiamo la cultura della marineria anglosassone, la nostra è una liberissima trasposizione a Napoli».
Proprio come l’opera dal quale prende spunto, il film racconta di un marinaio, che dopo aver salvato un rampollo della borghesia industriale, viene ricevuto dalla famiglia del ragazzo e ne conosce la sorella Elena (Jessica Cressy), colta e raffinata, di cui si innamora. A costo di enormi fatiche e scontando la propria umile origine, Martin insegue il sogno di diventare scrittore e, influenzato dal vecchio intellettuale Russ Brissenden (un meraviglioso Carlo Cecchi), si avvicina ai circoli socialisti, entrando in conflitto con Elena.
«Ci siamo appoggiati alle grosse spalle di London, un grande autore di massa, di impegno politico, che aveva anticipato l’alienazione dell’industria Usa, il conflitto tra fare cultura e migliorare il mondo, illuminando il valore delle persone, della loro emancipazione – ha raccontato in conferenza stampa il co-sceneggiatore Maurizio Braucci – Martin Eden stigmatizza i rischi dell’individualismo, dove il liberale è un anarchico senza solidarietà per il prossimo. London ha una grande preveggenza nel delineare i rischi dell’esaltazione dell’individuo che portano a un neoliberismo sfrenato, in cui l’individuo è un maiale che mangia tutto».
Marinelli, pur coadiuvato da un buon cast (tra questi Vincenzo Nemolato), regge da solo il film. Ha voluto fortemente incontrare e lavorare con Marcello dopo essersi commosso per il suo precedente film “Bella e perduta”. Un grande lavoro sul corpo, sul dialetto (recita in napoletano) per restituire sul grande schermo un «avventuriero, un ragazzo colpito dalla fascinazione cultura, attraverso cui riscattarsi: quando si arrampica sulla montagna che guardava dal basso, trova qualcosa che non immaginava, che lo delude».
Un film che ha merito di spingere a riflessioni. «Credo nei più giovani – chiude Braucci – oggi sentiamo tutti l’oppressione dello spettacolo, del consumismo, anche loro, ma si dicono: “che alternativa abbiamo?”. La cultura deve ricollegare la conoscenza con l’emancipazione umana».