Donna forte e dal volto indimenticabile, Vanessa Gravina è capace di coniugare cinema, teatro e televisione. È in scena al “Franco Parenti” di Milano con “Il piacere dell’onestà” di Pirandello per la regia di Liliana Cavani.
Un testo dal fascino immutato nonostante sia stato scritto 100 anni fa…
«È un piacere rituffarsi in un italiano così alto, significativo e ben descritto. Un testo che porta l’attore per mano all’interno del personaggio. Una punteggiatura precisa e da rispettare con rigore, da seguire. All’interno di una magia, dell’essere umano che vorrebbe essere ma. Parla di una grande avventura, umana e di sentimento. Una analisi filosofica attraverso il contrappasso, il confronto tra due mondi: il concreto del marchese e quello straordinariamente alto filosofico, in controtendenza, lucido e profondo di Baldovino».
Tra queste due realtà irrompe il suo personaggio…
«Agata Renni non accetta la convenzione ipocrita ma deve accettarla. Una donna che non potrebbe ribellarsi al disegno prestabilito della sua condizione alto borghese, ma che compie una rivoluzione scegliendo l’incognita, decidendo di andarsene con un uomo bandito dalla società. Seguirà la persona vera che fa emergere una coscienza e una purezza in questa esistenza. Con coraggio abbandona tutto: madre, famiglia il benessere, una protezione».
Guidata da una grande regista…
«Una regista meravigliosa e di una semplicità estrema. Liliana viene dal cinema quindi ama andare in sottrazione rispetto alla materia alta di Pirandello. Ci ha chiesto una verità, di essere estremamente umani in una vicenda tutt’altro che umana e far arrivare quello che questi personaggi gridano dentro ma non hanno il coraggio di esternare. Non dà l’intonazione all’attore, ma ti spiega che cosa stai facendo, da dove arriva il tuo personaggio e dove non può andare, perché agisce in quella direzione. L’occhio di Liliana, che fa del realismo la sua forza, te lo senti sempre addosso, sai quando sei vero e quando non lo sei. Accoppiamento tra l’autore siciliano è una donna come la Cavani è un incontro molto forte e interessante».
Testi come questo trovano sempre meno spazio nei teatri italiani…
«Ci sono autori come Brancati, Aldo De Benedetti, un genio assoluto per la sua finezza intellettuale e la sua ironia colta, ma anche Viviani, che non vengono quasi più considerati, non vedono più luce. Il nostro patrimonio è immenso, ha una valenza fortissima, ma forse subiamo di più la fascinazione dello straniero, mentre avremo bisogno di operazioni dove la letteratura italiana venga riproposta. Noi sempre stati un po’ nemo propheta in patria».
Cosa la spinge a scegliere un lavoro, c’è qualcosa che deve necessariamente esserci?
«Una delle prime cose che cerco per fare questo mestiere e farlo bene è partire dal peso del personaggio, dal ruolo, se ha da raccontare qualcosa anche essendoci poco. E questo ruolo è uno dei meno parlati della mia vita teatrale, ma fortissima, quando parla incide, scalfisce nella pietra anche nella semplicità. E poi do peso al binomio testo-regia».
Ha iniziato da giovanissima, ma quando ha capito che non era più un gioco quello che stava facendo?
«Sono sempre stata una bambina sempre più grande della mia età per gli accadimenti che si sono inseguiti nella mia vita. Non ho mai avuto il fare questo lavoro con l’incoscienza di una bambina, ma sempre consapevole che stavo facendo un gioco molto serio, sapevo a cosa andavo incontro. Per il mio esordio al cinema con il film Colpo di fulmine di Marco Risi, c’erano tante aspettative, pur vivendola con la leggerezza dell’età. Ho capito fin da subito che era quello che mi piaceva fare».
È vero che sono sparite le icone nel cinema di oggi?
«Oggi si punta a volare verso la quotidianità, identificarsi in un personaggio per sentirsi di poter vivere il suo sogno. Se si ha difronte una icona, irraggiungibile questo meccanismo non scatta. Viene portato tutto ad un possibilismo, tra situazioni e contesti che possa essere vissuta e imitata. Hanno abbassato l’aspettativa per poter tenere tutti su un profilo di vivibilità. Miti come Virna Lisi e Sophia Loren, sono donne dal carisma fuori portata».
Donne che ha incontrato nel suo percorso…
«La Loren l’ho incontrata in una edizione del concorso di Miss Italia, ero in giuria. Lei mi venne incontro, voleva parlarmi perché era una grande fan di “Incantesimo”, mi si avvicinò con grande semplicità, come la signora della porta accanto ma con una luce incredibile. Invece con Virna Lisi ci ho lavorato nella fiction “Madre, aiutami” di Gianni Lepre, una luce così non me la ricordo in nessuna altra donna. Chi è accompagnata da una aureola, da un velo di magia, è anche Sharon Stone, conosciuta in un gala in Sardegna.
Per bellezza e talento lei potrebbe essere avvicinata a queste donne…
«Io non faccio paragoni, cerco di tenere viva la mia luce personale di essere umano al di là del mio lavoro, di morire e rinascere. La mia è una storia di alti e bassi, di vittorie e sconfitte, di lotte per sopravvivere. Cerco di tenere viva questa fiamma, che si veda o meno, in alcuni contesti mi riesce, in altri meno. Una luce che possa suscitare in chi vede quel che faccio una percezione di qualcosa di diverso, di non riscontrabile».
La Vanessa spettatrice cosa sceglie di vedere tra teatro, cinema e tv?
«Sono ancora di quelli che amano prendere l’auto o organizzare la serata, di andare al cinema per andare a vedere quel film magari in lingua originale con i sottotitoli, è un cult. Dedicare del tempo, una azione per celebrare qualcosa di artistico. Amo molto andare a teatro, mi interessa in modo particolare, sono una spettatrice senza pregiudizio, cerco di sedermi in poltrone senza preconcetti. Mi spoglio dell’appartenenza professionale e vado come Vanessa cercando di prendere il meglio. In televisione invece, ho visto con piace “L’Amica Geniale”, “Gomorra” e tutto quello che nasce dalla penna di Camilleri».
E nel tempo libero?
«Amo immergermi nella natura, che è per me una forma d’arte purissima, quando il bello arriva a livelli alti è arte pura, da una montagna meravigliosa, una grotta, a una foresta, il tramonto nel mare di Fregene. E poi adoro i musei, ultimamente tra Torino o Firenze mi sono fatto uno sturbo. Non sono pigra, vado verso le cose».
Ci racconta un episodio off della sua vita?
«Nel 1999 mi trasferii in Francia, avevo un momento di fermo con il lavoro in Italia e mi spostai a Parigi seguita da un agente. Fui fortunata becco 2 provini su 3, vengo scelta per il film “Les gens en maillot de bain” che si girava alle Antille, un ruolo meraviglioso da protagonista, per una fantastica produzione. Piena di aspettative preparo il bagaglio e mi imbarco per l’isola di San Martin dove ero stata già con mio padre. Cominciamo le riprese, ma nella terza settimana veniamo avvisati dell’allerta ciclone. Arrivò una frustata d’aria a 340km oraria, restammo chiusi tre giorni dentro l’albergo con le candele e il cibo razionato, una calamità nazionale. Quando uscimmo l’isola era rasa al suolo. Non ci sarebbero state le condizioni per proseguire il film, ci raggiunse un responsabile dell’assicurazione per dire l’ultima. Nei due giorni che è stato con noi l’ho pregato di farci proseguire. Funzionò perché lui ci disse: “Fosse per me lo fermerei questo film, ma mi avete fatto tanta tenerezza, quindi non lo dirò alla compagnia di assicurazione, vi faccio continuare a girare”. Così ho potuto guardami alla “prima” seduta in un cinema negli Champs Elysees».
(articolo pubblicato su Il Giornale Off, del 4 maggio 2019)