«Il circo è al più antica forma di spettacolo al Mondo». Lo dichiara fermamente l’attrice Liana Orfei, appartenente alla dinastia circense degli Orfei come la cugina Moira, diva dagli anni 60 del piccolo e grande schermo.
Ci spieghi meglio…
«Quando gli uomini delle caverne si sedevano intorno al fuoco e guardavano lo stregone che danzava facendo apparire e sparire degli oggetti, quello è stato il primo circo. Quindi dalle caverne in poi, tutte le forme di spettacolo derivano dal circo, dal teatro alla lirica. Lo raccontava sempre il compianto professore Mario Verdone nelle sue lezioni alla Sapienza».
Oggi però non vive un buon momento…
«Solo in Italia però. I tendoni sono pieni in Francia, Germania, Spagna, Russia, con grandi attrazioni e con gli animali. Il circo tradizionale è nato con gli animali e non può farne a meno. Senza di loro è pantomima circense. Ne è un esempio il Cirque du Soleil, una meravigliosa pantomima, non in assoluto un circo, una cosa di elite che ha già stancato la gente».
Come mai?
«Perché in Italia siamo impulsivi, ci voleva una direttiva su come gli animali venivano trattati e stabulati. Io fui la prima nel 1983, presentai un protocollo assieme al vice-presidente dell’Enpa Silvano Traisci, ma fu archiviata perché c’erano molti interessi economici in ballo. Qualche anno dopo abbiamo fatto anche una proposta di legge con Silvia Costa, ma passò nel dimenticatoio. Io sono una pura animalista, soffro quando vedo gli animali trattati male, odio quei circhi stranieri che per come trattano gli animali andrebbero denunciati».
Non vivrebbero meglio in libertà?
«Gli animali che vengono ingiustamente sequestrati nei circhi, perché secondo loro non trattati come si dovrebbe, muoiono perché non hanno più il loro ambiente. Nessuno che li capisce e che non rispetta le loro abitudini sono amati nel circo, nati nel circo, il loro habitat è quello. Racconto un episodio legato ad una tigre e i suoi cuccioli. Li tenevamo nella nursery, ma quando sentiva la musica dello spettacolo la tigre voleva uscire assieme agli atri animali, non voleva più dare il latte. E allora ci siamo presi noi cura dei cuccioli, ce li siamo allevati mettendoceli addirittura nel letto. Cose che gli animalisti forse non farebbero mai. La gente del circo, come la mia famiglia che vive da 250 anni nel circo, convive con gli animali da sempre. Tra noi e loro c’è un file rouge, un feeling. Anche noi denunciamo chi non tratta come si deve gli animali. Ci sono persone che si improvvisano circensi e lì cade l’asino perché veri circensi si diventa dopo parecchie generazioni!».
Eppure in Italia c’è una grande tradizione…
«Sì, siamo stati i primi a fare scuola e sono sicura che il circo tornerà ad essere vivo come sempre è stato. I tempi cambiano, ed è giusto assecondare i cambiamenti, ma in Italia siamo assolutisti, il bianco deve essere troppo bianco da accecare, invece la vita è morbida, va presa con giustizia. Non si può cancellare una categoria».
Proprio sotto un tendone fece un incontro che le cambiò la vita…
«Federico Fellini venne a vedere lo spettacolo dove io presentavo un numero, mi provinò, ma non mi prese. “Lianina”, cosi mi chiamava, avevo un muso troppo pulito per il ruolo che voleva. Ma solo il fatto che lui avesse puntato gli occhi su di me fece muovere tutto il mondo cinematografico. Da lì in poi feci 54 film, persino 8 in un anno. Con lui c’è stata una grande amicizia, amava mia madre per i suoi tortellini e quando eravamo a Roma per Natale ci veniva a svegliare assieme a Giulietta la mattina per farci gli auguri. Scelse Nando mio fratello per il ruolo di Patacca in “Amarcord”».
E tra i grandi miti del cinema ha conosciuto anche Orson Wells…
«Era favoloso, un genio. La sua recitazione era di una bellezza incredibile, la voce di un fascino, per non parlare degli occhi. Sempre buona la prima con lui. A me metteva in imbarazzo, voleva che gli raccontassi il circo, era molto cortese, sempre con la sua distanza. Con la troupe, invece, era di una antipatia assoluta, confidenza a nessuno. Obbligava tutti a lavorare da mezzanotte all’alba perché di giorno dormiva e intanto beveva due bottiglie di whiskey tranquillamente, non l’ho mai visto ubriaco. Il film era “I Tartari” e mi raccontarono che a Broadway c’era un grosso cartellone con la mia faccia per i 3 mesi di programmazione al cinema».
… ma anche Totò, Eduardo…
«Anche Totò era un genio, solo che l’hanno scoperto post morte, solo allora hanno capito chi veramente fosse. Girai con lui “Signori si nasce”con la regia Mario Mattoli, e altri due film. Mentre con Eduardo ho un bel episodio da raccontare. Dovevo interpretare Bernandina accanto a Modugno che faceva Masaniello. Mi insegnò il napoletano, il napoletano antico, quello cantato. Avevo timore di non farcela con il mio accento bolognese, ma lui mi disse: “Lei deve solo ascoltare, quando faccio la sua parte, lei la deve fare uguale a me”. Lui fece un pezzo cantato, io nel ripeterlomi sforzai e rimasi muta, trauma alle corde vocali a 15 giorni dalla prima al Sistina di Roma. Vennero interpellati tutti i dottori d’Italia.Mi volevano sostituire con Angela Luce, Modugno propose sua moglie, la Gandolfi, ma Eduardo voleva me. Forse era una sfida la sua, quella di tramutare una pura bolognese in una napoletana del 600. Andò molto bene, ebbi critiche stupende, ringrazio Dio per avermelo fatto incontrare. Lui è un pilastro del nostro teatro da sempre e lo sarà per sempre».
E un bacio con Mastroianni…
«Il più lungo della storia del cinema, eravamo sul set di “Casanova 70” di Monicelli».
Poi molta televisione e musica…
«Tra le cose che mi piace ricordare è il debutto televisivo di Gigi Proietti ne “Il Socio”, dove io ero una delle protagoniste. La mia carriera televisiva continuata con grandi interpreti dell’epoca come Gino Bramieri, Aroldo Tieri, Domenico Modugno e nella commedia “La cena delle beffe” con Amedeo Nazzari come protagonista e tanti altri ancora. Per me hanno scritto canzoni autori come Gino Paoli, Gino Landi e Modugno e altri».
Una vita ricca di avventure, incontri…
«Mi hanno detto di scriverne un libro, e lo sto facendo. Ma ho talmente tante cose da dire che non riesco a finirlo, manca solo il finale. È la mia vita vista da un’altra persona, da prima della mia nascita, partendo dall’amore tra mio padre e mia madre, che a confronto “Romeo e Giulietta” faceva ridere. Mio padre veniva da una famiglia di poveri ma bravissimi artisti circensi, mia madre ricca milanese andò a vedere questo piccolo circo, avevano solo una scimmia di nome Toto. Si innamorarono lei 18 e lui 22, una avventura meravigliosa. Da sola questa storia può essere un libro. Alcuni anni fa ne scrissi uno che arrivò finalista al premio Bancarellino, era “La grande casa chiamata circo”».
E poi è anche bravissima in cucina…
«Ho persino cucinato per 300 persone! Avevo a Monteverde Vecchio un appartamento di 300 mq con un terrazzo di 400. Venivano a cena grandi personaggi come Nureyev e Berlinguer, e tutti gli artisti che passavano al “Platea Estate” nel teatro Tendastrisce, manifestazione organizzata da mio marito, da Baglioni, alla Bertè fino a Renato Zero. Era un caleidoscopio di cibi italiani e stranieri, si andava da un piatto all’altro, una griglia immensa che ospitava mezzo bue. Un appuntamento pieno di giornalisti».
Per concludere, quali sono le sue aspirazioni?
«Non ho altre aspirazioni, anzi ne ho una, vorrei tornare giovane, non per la bellezza, seppur sia una cosa importantissima, e ringrazio Dio che mi ha fatto la grazia di avere un determinato corpo e un viso, che mi hanno permesso una fortunata carriera ma la tristezza di non sentire più l’odore dell’erba appena tagliata, quello della pioggia che bagna la terra, del afrodisiaco profumo del mare, non mi commuovo più davanti ad un campo di grano pieno di papaveri e di tutte quelle cose che non riesco più a percepire, ecco, tutto questo mi manca tantissimo!».
(intervista pubblicata sul mensile Cultura Identità di giugno 2019)