La rinascita della Sanità al Torino Film Festival

Raccontare uno dei quartieri più difficili e più belli di Napoli. Questo l’obiettivo del documentario “Rione Sanità. La certezza dei sogni” di Massimo Ferrari presente fuori concorso al Torino Film Festival. A volo d’uccello entriamo nella basilica di Santa Maria della Sanità accompagnati dalle parole del parroco Don Antonio Loffredo, l’uomo che è riuscito nell’impresa di innestare il germe della rinascita civile, economica e culturale del suo quartiere. Prodotto da Maria Carolina Terzi e Luciano Stella e scritto dallo stesso regista con la giornalista Conchita Sannino, è un viaggio tenero, romantico, potente, attraverso le persone che impegnandosi nello sport e nelle arti hanno cambiato il proprio destino.

 

Qual è il pubblico ideale della tua opera? A chi deve arrivare il tuo messaggio?

«Penso che la forza di questa storia, così come nella natura del Rione Sanità, è quella di essere popolare, nel senso più nobile del termine. Può quindi rivolgersi ad un pubblico ampio, perché rappresenta un percorso di cambiamento possibile in cui ognuno di noi può riconoscersi. Una delle protagoniste del film, citando Dostojevsky (“La bellezza salverà il mondo”) mi ha detto che ha capito che se la bellezza ha cambiato la sanità può davvero cambiare il mondo. E questa è una storia di rinascita e rigenerazione di luoghi e persone, uno sprono per chiunque voglia provare a trasformare sé stesso o la realtà che lo circonda».

 

Tra le storie che hai raccontato quale ti ha maggiormente colpito?

«Mi ha colpito entrare in questa realtà, ogni storia ha una sua potenza nuova e lo capisci solo entrando e vivendo lì. Devo al direttore di Sky Arte l’inizio di questo viaggio perché mi ha coinvolto presentandomi poi i coproduttori Luciano Stella e Carolina Terzi. Non potevo far altro che lasciarmi contagiare dalla potente energia vitale che si respira. C’è un gran fermento e innanzitutto la mia idea è stata quella di provare a trasferire al film tutto questo. Spero di esserci riuscito».

 

Com’è stato vivere questo quartiere da “straniero”?

«Avere uno sguardo esterno credo sia sempre un vantaggio, a patto di non cadere nel luogo comune ovviamente. Ma in realtà poi non mi sono mai sentito straniero in questa realtà, come credo non avvenga a nessuno. Sin da subito sembra di essere a casa, col privilegio e la necessità di guardare tutto con occhi “nuovi”. Tutta la troupe ha vissuto questo clima, siamo diventati nuovi abitanti del rione e addirittura ci hanno preparato delle specialità, sotto richiesta di Don Antonio, per farci conoscere i veri sapori del quartiere. avremmo mai potuto capire appieno la sanità senza aver assaggiato il vero ragù?».

 

Il Rione Sanità può essere un modello di rinascita per altri quartieri?

«Assolutamente si. è questa la potenza della storia che raccontiamo e della lucida follia della visione di don Antonio Loffredo. Si può fare calandosi nelle diverse realtà, coinvolgendo la società civile. questo modello sta iniziando a cambiare anche forcella. Da qui anche il titolo “La certezza dei sogni” che è un bellissimo ossimoro, poiché tiene insieme la visione e la praticità. È dando riposte concrete ai bisogni delle persone che si riporta fiducia e si può trasformare anche ciò che sembra immutabile».