«Mi piacerebbe girare presto qualcosa qui, immergermi nella città per conoscerla». Violante Placido si presenta così al Napoli Film Festival, inaugurando lunedì sera la 19esima edizione con l’appuntamento “CineCocktail” al cinema Hart a cura della giornalista Claudia Catalli. «Mi cimenterei a recitare in napoletano». Aggiunge. «Il napoletano è unico, e trasformarsi in uno di loro è una sfida».
Napoli in questo momento vive un periodo di grande fervore tra produzioni di cinema e televisione…
«Napoli è una città in cambiamento, che pulsa di vita. Mi affascina tantissimo, ha una grande personalità, unica con le sue contraddizioni. Tra le produzioni recenti ho visto a Venezia il film “Nato a Casal di Principe” di Bruno Oliviero, mi sono emozionata tantissimo fino a piangere. È una storia dolorosa, diretta in maniera straordinaria con una sensibilità incredibile, ricco di verità e con un’autenticità unica. E interpretato da attori straordinari».
Al Festival è stato proiettato “7 minuti” (diretto dal padre Michele), un film che la vede protagonista di una storia che parla di sociale…
«“7 minuti” è un film che parla della crisi economica, di globalizzazione, di multinazionale. Il lavoratore è più vulnerabile e facilmente ricattabili. E ci si chiede: quanto siamo disposti a perdere di noi stessi pur di lavorare? Il cinema serve ad aprire dibattiti, a confrontarsi su temi che non possiamo vedere da vicino, lo specchio della società. Non sempre però, a volte invece ti permette di vedere magia, incanto».
In più il tuo personaggio è disabile…
«Marianna ha un incidente sul lavoro che le stravolge la vita. La fabbrica stessa, sentendosi in colpa, le offre una seconda chance ma in realtà non rispetta i suoi doveri. E lei si sente manipolata, divisa tra il dubbio e il posto di lavoro. È una bella occasione per un attore cimentarsi in un ruolo del genere. Mi sono preparata incontrando un fisioterapista che mi ha fatto conoscere da vicino chi vive su una sedia a rotelle perché ha subito un incidente o a causa di una malattia. Mi è servito per capire come immaginano la vita e mi sono allenata girando per Roma in sedia. Ho scoperto che nonostante sia la capitale è piena di barriere architettoniche, abbandonata in tutti i sensi. Non dargli autonomia negli spazi urbani. Lei fa tutto da sola, per me sorprendente ma dobbiamo permetterglielo».
Per una donna poi è più difficile…
«Nel caso delle donne è tutto amplificato, le donne subiscono di più, dobbiamo camminare come delle equilibriste. È più difficile riuscire a gestire un ruolo di potere, perché siamo più esposte a critiche. All’uomo è permesso di più. Noi invece dobbiamo lottare per farci accettare e far rispettare».
Hai lavorato con alcuni dei migliori registi italiani: cosa puoi dirci di Rubini, Veronesi e Avati?
«Sono state esperienze molto diverse tra di loro e intese. Soprattutto con Rubini, “L’anima gemella”, nel quale interpretavo un ruolo in dialetto, una sfida molto bella e stimolante in Salento. Con Veronesi girammo in Grecia “Che ne sarà di noi”, fu una esperienza di vita molto bella. Avati un grande maestro, mi ha insegnato tante cose nella “Cena per farli conoscere”».
Ora in cosa sei impegnata?
«Sarò in tournée teatrale per “Sogno di una notte di mezza estate” con la regia di Massimiliano Bruno. A novembre inizierò un progetto per il cinema ancora top secret».