«La città di Napoli ha bisogno di vivere ed esaltare la cultura – ne è convinto Sal Da Vinci – che sia una cultura di contaminazioni moderne o quella antica che ci ha reso celebri in tutto il mondo. Il Museo Archeologico Nazionale gioca un ruolo chiave perché è necessario ripartire dalle nostre radici e per farlo dobbiamo conoscerle a fondo. Della magnificenza di quel luogo ne rimasi colpito da ragazzo ma sento sempre il bisogno di tornarci per rinfrescarmi la memoria». L’artista partenopeo compirà 40 anni di carriera il prossimo 25 dicembre e sta vivendo un periodo magico tra l’uscita del suo nuovo disco ed uno spettacolo inedito a teatro.
“Non si fanno prigionieri” è l’album che vede la direzione artistica di Renato Zero. Com’è nata questa collaborazione?
«Ci conoscevamo già da molti anni, e grazie a Maurizio Fabrizio si è consolidata l’amicizia ed è nato il sodalizio artistico. Gli ho fatto ascoltare alcuni provini, lui ne è rimasto molto entusiasta ed ha scelto di sposare il progetto discografico. Renato si è sempre occupato delle produzioni sue e raramente ha preso carta e penna per scrivere per altri artisti. Crede fermamente in me ed in questa nuova avventura divertente, curiosa, passionale, ricca di fatica e di impegno artistico. Anche la scelta del titolo nasce da una sua intuizione dopo un lungo viaggio in autostrada trascorso ascoltando l’album più volte. Durante il percorso si è anche lasciato trasportare dall’onda emotiva ed ha deciso di duettare con me nel brano “Singoli”, nato per una sola voce».
Una bella emozione per te…
«Sì perché sono sempre stato affascinato dalla sua arte, il suo modo di raccontarsi, di raccontare la vita, una vita ricca di fantasia e di colori ma anche complicata a colorarla. È fantastico il suo modo di spettacolarizzare, di recitare il suo brano, e su questo piano trovo una certa affinità col mio modo di intendere la musica. Conoscendolo più a fondo ho scoperto che come me è molto legato alla famiglia, agli affetti, che trova sfogo nelle melodie. Credo sia un’icona vivente, un mito. Mi ha sempre colpito il suo essere trasformista, dal saper passare dai panni di “Mister triangolo” al cantare l’omofobia, la violenza, il femminicidio, l’abuso, la disfatta, la redenzione, la fatica, l’amore. Ho imparato tanto da lui in questo anno di gestazione dell’album, tra le tante altre cose mi insegnato soprattutto ad essere più semplice e diretto per farmi capire da tutti e di questo non posso che ringraziarlo».
Ed è proprio Renato Zero che ha dato il titolo al tuo nuovo spettacolo “Italiano di Napoli”, in scena al teatro Augusteo di Napoli dal 20 dicembre…
«È perfetto perché racchiude il concetto che dobbiamo riprenderci l’appartenenza del posto in cui viviamo e portarlo avanti senza vergogna. Come stile lo spettacolo è vicino allo stile di di Tim Burton, misterioso, una fabbrica di sogni, un cantiere aperto. Racconto il Paese che è come una bella donna che viene calpestata da un marito bugiardo e violento ma non perde mai la propria dignità. Lo racconto anche con guizzi divertenti grazie ad uno spumeggiante Davide Marotta, un bravissimo Lello Radice, e Lorena Cacciatore che rappresenta l’Italia. Lorena è una ragazza che ho trovato sul mio cammino, l’ho provinata, mi ha sorpreso ed ho scelto di prenderla nello spettacolo di comune accordo con Alessandro Siani che ne cura la regia. Con lui siamo sulla stessa lunghezza d’onda. Ha compreso la mia idea di spettacolarizzazione della musica ed ha saputo ampliarla. Cerchiamo il giusto compromesso tra un musical e un concerto. Raccontiamo un mondo attraverso le canzoni dell’album, che interpreterò per la prima volta dal vivo, e brani che mi hanno da sempre accompagnato rivedendoli negli arrangiamenti. Durante lo show ricorderò anche mio padre (Mario Da Vinci, ndr)».
Una bella sinergia quella tra te e Siani…
«Siamo di nuovo insieme dopo il successo clamoroso quanto inaspettato di “Stelle a metà” forte di una compagnia composta da attori e ragazzi straordinari. Tra questi ho ritrovato anche mio figlio Francesco, è stata una grande soddisfazione vedere che si innamora di queste tavole, del pubblico che lo osserva, della favola d’arte. Il sodalizio nacque con il film “Ti lascio perché ti amo troppo” con Alessandro protagonista ed io firmai la colonna sonora, poi, dopo aver collaborato nella trasmissione televisiva “Movida” ci simo staccati per un periodo. Ci siamo ritrovati a scrivere delle cose insieme in occasione del brano “Tu stella mia” che lui usò nel suo film “Si accettano miracoli”. Siamo la forza di un territorio che si unisce e si mette insieme smentendo i luoghi comuni. Farci la guerra non aiuta nessuno. Più uniti siamo e più siamo forti».
(intervista uscita sul magazine MANN del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dicembre 2016)