Scienza e fede. Arcaismo e progresso. “Capri – Revolution” di Mario Martone è una grande metafora del mondo, della vita. Si interroga su individualismi e collettività, sulla necessità di confronto, di crescita. Narra la storia di Lucia (Marianna Fontana), una giovane pastorella di Capri, analfabeta, che vive con i fratelli (Gianluca Di Gennaro e Eduardo Scarpetta) e la madre (Donatella Finocchiaro). Pascolando si imbatte in una comune di intellettuali stanziata sull’isola, li spia mentre prendono il sole nudi, mentre ballano, ne rimane incuriosita. Il gruppo è guidato da Seybue (Reinout Scholten van Aschat), un pittore, un uomo spirituale. I due entrano in contatto, lei ne resta affascinata e lascia la casa per proseguire il suo percorso con lui. Nella vicenda irrompe un dottore (Antonio Folletto), un ragazzo forte delle sue convinzioni, ma pronto a confrontarsi con il prossimo. Fino a che la guerra non travolge l’Italia.
Da dove ha tratto ispirazione per quest’opera?
«Mi sono imbattuto in questa storia per caso, vedendo i quadri di Karl Diefenbach nella certosa di Capri. La sua vita mi ha immediatamente colpito e non sapevo che all’inizio del 900 ci fossero comuni che anticipavano quello che sarebbe accaduto negli anni 60-70. Immediato è stato il cortocircuito temporale con vicende successive, con Joseph Beuys aveva creato un’installazione sull’isola, “Capri Batterie” (titolo originario del film, ndr), dove l’arte non era questione estetica ma mezzo per immaginare un diverso modo di rapporto tra le persone, un fatto politico».
“Capri – Revolution” chiude la trilogia sull’Italia del passato, da “Noi credevamo” (2010) sul Risorgimento, a “Il giovane favoloso” (2014) su Leopardi…
«Non ho immaginato questi tre film all’origine, uno è nato dall’altro. Che Leopardi potesse essere oggi una voce importante l’ho capito mentre facevamo “Noi credevamo”, allo stesso modo i temi di progresso e natura, quelli di “Capri – Revolution”, si sono manifestati durante la lavorazione de “Il giovane favoloso”. Poi sì, è lampante, i protagonisti sono sempre ribelli, giovani, perché a muovermi è sempre il desiderio di raccontare un’Italia che non è doma, che sente la spinta a cambiare, a interrogarsi sui temi, sul rapporto tra collettività e individualità».
La figura femminile torna centrale nel suo film dai tempi de “L’amore molesto”…
«Sì, anche se le donne sono state sempre presenti, e fondamentali, in tutti i miei film. Questa è la parabola di una ragazza e il suo confronto con questi mondi maschili, che attraversa e di cui si imbeve, riuscendo però poi a superarli. Lucia porta con sé l’umano, la capacità di relazionarsi, e credo sia importante in un contesto come quello di oggi, dove ogni idea cerca di essere imposta con l’arroganza e senza alcun confronto costruttivo».
Una pellicola che manda in estasi la vista. Le inquadrature ricordano quadri: quando i protagonisti sono a tavola sembra di vedere Van Gogh, le sinuose scene di danza riportano alla mente Matisse…
«Non è la ricostruzione reale di Diefenbach, ma una figura nuova, con la pittura che viene lasciata alle spalle perché volevo concentrarmi su questo concetto di arte che si relaziona fortemente alle persone. E per questo lo spirito collettivo della danza era fondamentale, con le coreografie di Raffaella Giordano».
Le musiche ipnotiche di Sasha Ring ne amplificano la potenza…
«Ho chiesto a lui e a Philipp Thimm di essere nel film, creando musiche acustiche che questi artisti non musicisti avrebbero suonato nel film. Gli strumenti che sono suonati sono quelli della tradizione mediterranea, altri sono stati costruiti appositamente, creando questa fascinosa mescolanza tra musica acustica ed elettronica».
Il volto della Fontana riempie lo schermo, notevoli i cambi di registro di Folletto, la mimica di Di Gennaro da potenza al suo personaggio, molto convincente Scholten van Aschat.
«Questo film mette in contrasto mondi e visioni diverse, il mondo contadino di Lucia, la scienza del medico, la comune del performer. L’isola è il mondo, la metafora del mondo. Il mondo è un’isola. E l’unica cosa possibile è confrontarsi».
Nonostante sia ambientato oltre 50 anni fa, il film contiene un messaggio molto attuale…
«L’isola è a la metafora del mondo, si scopre che l’unica cosa possibile è confrontarsi. Il confronto è necessario, mentre oggi viviamo in un tempo in cui tutto va chiuso e improntato su una visione in cui l’odio e la paura fanno da collante».
Prodotto da Indigo e Rai Cinema, “Capri – Revolution” sarà nelle sale dal 20 dicembre con 01 distribution.
(Intervista pubblicata su Agorà Magazine di dicembre 2018)