C’è un film italiano che sta facendo il giro del mondo mietendo successi. Si tratta di “Appartamento ad Atene” opera prima di Ruggiero Dipaola, nelle sale dal 28 settembre, che conta già la partecipazione a 51 festival internazionali ottenendo ben 27 premi. La narrazione si svolge nel 1943 ad Atene nell’appartamento degli Helianos (Laura Morante e Gerasimos Skiadaresis), coppia di mezza età un tempo agiata con due figli. Il loro appartamento viene requisito per ospitare un ufficiale tedesco. Con l’arrivo del Capitano Kalter (Richard Sammel), tutto è cancellato. metodico, ascetico e crudele, Kalter è un Dio-soldato che impone il terrore. Gli Helianos si sottomettono remissivi. Sono servi, adesso, senza altra identità che la loro acquiescenza. La volontà del Dio-soldato è il loro unico assillo. L’appartamento li avvolge come un’epidermide. Poi, di colpo, l’assenza. Il padrone parte per la Germania e i servi scoprono che la libertà non ha alcun senso se non la tortura continua. Quando Kalter torna è un sollievo. E’ cambiato, ora è più gentile e indulgente. Indulgenza che però disorienta.
Il film oltre ad una pregevole regia, matura e coinvolgente, conta su una fotografia incisiva (Vladan Radovic) ed una scenografia convincente (Luca Servino). Protagonista indiscussa della pellicola è Laura Morante che incolla lo spettatore allo schermo con classe ed eleganza.
Cosa l’ha spinta a scegliere di essere protagonista di una opera prima quale “Appartamento ad Atene”?
È sempre un terno a lotto scegliere un film. A volte da un bellissimo progetto viene fuori un brutto film così come da un brutto progetto viene fuori un bellissimo film. Mi è già successo in passato. In più questo era un primo film e le incognite aumentano. Ci sono vari elementi che contano.
Quali sono?
Il primo è il rapporto che si instaura con il regista, si sente immediatamente se con una persona ci può essere una intesa oppure no, nel caso di Ruggiero l’ho visto così determinato, così entusiasta questo mi ha dato voglia di esserci. Spesso l’entusiasmo e la determinazione, l’ostinazione si sposano con il talento. Ho visto l’accuratezza con cui ha scelto il suo cast. Tutto questo mi ha indotto a fidarmi.
Tra gli sceneggiatori c’è un nome a Lei caro…
Sì c’è Heidrun Schleef che ha firmato due tra i più bei film che ho fatto (“Ricordati di me” e La “Stanza del figlio”, ndr). So che Heidrun non metterebbe mai la firma in un progetto indegno, quindi già sapevo che sarebbe stato qualcosa di interessante. Poi ho letto la sceneggiatura e mi è piaciuta.
Il 2012 è un anno che difficilmente dimenticherà perché la vede debuttare come regista della commedia “Ciliegine”. Come è andata questa prima volta?
E’ stato difficile tutto il prima, c’è voluto molto tempo per metterlo in piedi anche se si trattava di un film in teoria molto semplice. Dopo però ci ha dato molte soddisfazioni. Abbiamo avuto una accoglienza molto calorosa in Italia, soprattutto da parte del pubblico femminile. Sono molto contenta di come è andata.
L’inizio di una nuova carriera?
Non lo so. Per scaramanzia non voglio dirlo.
Nella sua carriera è stata diretta da grandi maestri come Amelio, Bertolucci, Moretti, Monicelli. Quali sono gli insegnamenti che porta con sé?
È sempre difficile dirlo. Ci sono alcune cose che noi assimiliamo senza nemmeno rendercene conto, spero che ci siano. Spero che non sia stato invano lavorare con registi bravissimi e che qualcosa mi sia rimasto. Io non ho coscientemente rubato all’uno o all’altro. Però sono convinta che non soltanto gli incontri professionali ma anche gli incontri umani lasciano tutti una traccia che poi in qualche modo si traduce in qualche cosa.
(articolo pubblicato il 4 ottobre 2012 sul quotidiano Roma)