INTERVISTA – Christian De Sica: «Racconto il presente stando a contatto coi giovani»

L'attore torna al cinema dirigendo il film "Amici come prima" che segna la reunion con Massimo Boldi: sul set i suoi figli e tanti ragazzi

L’allure di un divo d’altri tempi, la semplicità di un amico di famiglia. Christian De Sica è un’icona del cinema italiano. Torna dopo 13 anni a far coppia con Massimo Boldi e lo firmando anche la regia di “Amici come prima”.
De Sica i suoi film hanno sempre fotografato il Paese…
«Abbiamo raccontato la borghesia degli anni 80 e 90 molto meglio di tanti film autoriali che non hanno lasciato il segno. Una volta Beppe Cottafavi, editor di Mondadori, mi disse che se uno doveva raccontare l’Italia degli anni 80 dovrebbe capire “Vacanze di Natale” perché è uno specchio preciso della società».


Anche se non sempre hanno ricevuto recensioni lusinghiere…

«I teorici del film storcono la bocca, a volte hanno anche ragione, a volte lo fanno per invidia. Perché l’Italia è un paese che non ti perdona il successo, difendono sempre dei film buoni o che non vede nessuno solo perché politicamente da una parte o indirizzati dal direttore del giornale. È un dato di fatto, è triste ma è così.  Se “Ladri di biciclette” di mio padre non avesse vinto l’Oscar e se in Francia non avessero gridato al capolavoro, gli italiani lo avevano smontato».

Eppure il pubblico è sempre dalla sua parte, a parlare sono gli incassi…

«Se gli incassi vanno bene ti dicono quanto sei bravo, che sei una cosa incredibile, uno di famiglia.  Se non va bene ti dicono che sei vecchio. Come diceva Eduardo “Gli esami non finisco mai”. In Francia l’attore vecchio è idolatrato. In Italia sei ci si dimentica dei grandi. Poi a differenza loro siamo molto affettuosi, pieni di calore ma allo stesso tempo spietati come i bambini, buoni ma terrificanti. In questo paese chi paga le tasse sono i borghesi, i poveri no e manco i ricchi che diventano sempre più ricchi e questa è la tragedia. Io devo lavorare per campare. Sono fortunato ma sono arrivato a pagare il 74% allo stato. Speriamo che vada bene questo film altrimenti è come se non avessi fatto nulla. La gente però ride. Col paese che va così regalare anche un’ora e mezza di qualcosa di superficiale e leggera con un po’ di risate è qualcosa di magico, ti soddisfa molto di più».

Tuttavia a far da padrone al box office sono sempre i prodotti di Hollywood…

«Il cinema italiano è stato un po’ massacrato. Noi facciamo film con due stuzzicanti e un fil di ferro, per questo abbiamo speso 4 milioni, un miracolo. Loro spendono centinaia di milioni. Poi in questo periodo natalizio una volta c’eravamo solo noi, a volte Troisi. Ora la lotta è terribile, l’anno prossimo ci saranno Ficarra e Picone, io farò teatro, una commedia musicale».

Ad affiancarla in questa avventura tanti giovani, tra questi i suoi figli Brando e Maria Sole…

«Avevo proposto a Brando di fare la regia, ma ha rifiutato. Però mi ha aiutato, senza firmarsi, io mi sono occupato delle scenografie, dei costumi, delle location, degli attori e lui dei movimenti di macchina. Ha portato una toupe di giovani dal direttore della fotografia Arnone al montatore Galli. C’era anche Maria sole come aiuto ai costumi, ora è in giro per una serie Nexflix. Questa è stata la chiave di volta del film. Se noi sessantenni ci circondano di coetanei si comincia a parlare del passato e invece bisogna confrontarsi con i più giovani. L’errore che hanno commesso tanti colleghi più illustri di me che hanno deciso di chiudersi nei salotti di casa, senza più scendere in tram o prendere la moto, parlavano sempre delle stesse cose, così si invecchia. Per raccontare il presente bisogna stare per strada. L’amore e l’affetto che ricevo dai ragazzi è una cosa unica, per me. Una grande soddisfazione».

Tornando indietro avrebbe mai fatto una carriera da attore drammatico?

«No, la mia fortuna è stata questa, se da giovane avessi deciso di pormi come obiettivo di fare “Ladri di biciclette” avrei fallito. A me piaceva molto il varietè. Feci lo lo chansonnier in “Bambole, non c’è una lira” con la regia di Antonello Falqui. Così ho cominciato, insieme alle feste di piazza al Lupo di Rimini, il Rangio Fellone di Ischia. Il mio mondo è quello lì, poi è venuto fuori il cinema, ho scelto il cinema popolare perché il cinema popolare ha scelto me. Se avessi fatto l’autore sarei stato un fallito».

Quando però si è cimentato ha ottenuto tanti riconoscimenti

«Quando ho fatto film drammatici, pochi, mi hanno dato molti premi con “Il figlio più piccolo”. Quando faccio questi mi snobbano, ma questi mi ha portato il successo, la notorietà, la casa me la sono comprato con questi film e soprattutto l’amore per le persone. Il cinema popolare non è fatto dagli intellettuali, è fatto da Franco e Ciccio, da Totò e Peppino, dei geni a cui non mi paragono minimamente. E pensare che prima fare un film con Totò era una vergogna. Oppure Sordi nello “Sceicco Bianco” di Fellini non veniva nemmeno messo nel manifesto…».