Il cinema indipendente prende una bella boccata d’aria. Una buona idea ed un bravo regista danno vita ad una gradevole pellicola low budget. Fino a qui tutto bene è il secondo film di Roan Johnson, dal nome statunitense ma dall’accento toscanaccio.
In poco più di 80’ Johnson riesce a raccontare con delicatezza e senza fronzoli il fondamentale passaggio che affrontano i ragazzi dall’università al mondo del lavoro. Una recitazione molto naturale, quasi documentaristica, fa scorrere via le vicende dei cinque squattrinati protagonisti.
A ciascuno il suo destino. C’è chi resta incinta ed abbandonata da un fedifrago (Silvia D’Amico, la migliore della ciurma). Chi corona il sogno della vita superando un colloquio per lavorare in Islanda (un rigido Alessio Vassallo). Uno di loro trova la “soluzione” in un suicidio. E chi si ostina a credere che il suo futuro sia l’arte (un ironico Paolo Cioni, l’algida Melissa Anna Bartolini e un convincente Guglielmo Favilla). Una di loro ce l’ha fatta (Isabella Ragonese) diventando attrice famosa. Si amano e si odiano in quell’appartamento.
Dopo l’esordio con “I primi della lista”, Johnson conferma la sua bravura e merita applausi per la cura dei personaggi, i loro movimenti in scena, ed inquadrature apprezzabili. Colonna sonora e fotografia essenziali, asciutte. “Fino a qui tutto bene” è un piccolo miracolo dell’industria cinematografica di oggi.
Fino a qui tutto bene è una pellicola “off” che dopo il successo al Festival Internazionale del Film di Roma (con ben quattro premi del “Pubblico”) giunge in ben 90 sale in Italia. A Napoli è in programmazione al Modernissimo (dove venerdì Johnson ha incontrato il pubblico) e al Delle Palme.