La nostalgia è un sentimento tanto dolce quanto devastante. E Felice Lasco lo proverà sulla sua pelle. Un personaggio che prende vita, dalle pagine di Ermanno Rea, grazie ad un gigantesco Pierfrancesco Favino in “Nostalgia” di Mario Martone.
Dopo 40 anni tra Africa e Medioriente, costretto a tornare nella sua Napoli per accudire la madre molto malata, Felice inizierà un viaggio nella sua coscienza, nei suoi sentimenti, attraverso i vicoli del Rione Sanità, nutrendosi della gente che lo abita. È impacciato, non ricorda bene la lingua, è fedele ad un’altra religione.
Sulla sua strada incontrerà padre Luigi Rega (ispirato alla figura reale di padre Antonio Loffredo), interpretato da uno straordinario Francesco Di Leva, che proverà a dissuaderlo nel restare in quella città, in quel quartiere inquinato dalla cattiveria. Di tutta risposta lui dirà, improvvisamente in un perfetto napoletano: “chesta è a casa mia!”.
E nello scavare nel suo passato, ricorderà Oreste, suo amico di scorribande adolescenziali tra corse in moto e micro delinquenza. Scoprirà che oggi è il temibile boss della Sanità, detto ‘O Malommo. Tra loro c’è qualcosa di irrisolto, qualcosa da chiarire che sa di epifania del suo presente. Intanto ad attenderlo in questa sua vita ritrovata c’è la sua bellissima moglie, ancora all’estero.
In un dedalo di stradine, luoghi spesso claustrofobici, chiusi da enormi mura di tufo, ipnotizzati da musiche talvolta psichedeliche, lo spettatore vivrà il senso di inquietudine del protagonista, scoprendo nel finale il sapore di questo sentimento lacerante che è la nostalgia.
Una Napoli inedita, sospesa nel tempo (gli abiti di scena non sembrano attuali), si mostra solo uno spicchio di mare col Vesuvio, per un racconto di impegno sociale quanto più neorealista.
Oltre due ore di film travolgenti, grazie ad una regia puntuale di Mario Martone che, tra le tante intuizioni geniali nel film, decide di portare Favino su un terreno a lui ancora sconosciuto.
L’attore romano risponde restituendo le mille sfumature del suo personaggio, in costante evoluzione dal primo all’ultimo minuto, affascinando e commuovendo (la scena mentre lava la madre è di una pietà che smuove paragoni con la scultura di Michelangelo), confermandosi l’interprete più bravo dei nostri tempi.